San Vincenzo Grossi


Nato a Pizzighettone il 9 marzo 1845 ed ivi battezzato nella chiesa parrocchiale di San Bassiano, Vicenzo era il penultimo dei dieci figli di Baldassarre Grossi e Maddalena Cappellini, da cui imparò la mitezza e la laboriosità, unite a un sincero amore per Dio. 

Trascorse l’infanzia aiutando nel mulino dei genitori ed iniziando a coltivare, nella preghiera, il desiderio di raggiungere il fratello Giuseppe, già in Seminario.

Nel 1856, ricevuta la Prima Comunione, manifestò al suo parroco, don Giuseppe Favenza, e ai genitori la propria vocazione sacerdotale. 

I familiari non potevano permettersi le spese per entrambi i figli. Così, tra un sacco di farina e l’altro, Vincenzo studiava sotto la guida del parroco, le materie del ginnasio.

A diciannove anni, superati gli esami del ginnasio, Vincenzo accede al Seminario di Cremona. 

I suoi formatori notarono subito l’impegno e la dedizione in Seminario, ma anche fuori: quando tornava a Pizzighettone, infatti, radunava attorno a sé i bambini e i ragazzi per istruirli e farli giocare.


Nell’epoca della controversa “questione romana” non si tenne a distanza dal problema, ma, grazie agli incontri che il fratello don Giuseppe organizzava nella propria canonica su questo e altri argomenti ecclesiali, maturò gli strumenti per giudicare correttamente la situazione e per crescere in un atteggiamento che lo avrebbe portato a privilegiare l’impronta pastorale nel suo ministero.

Il 22 maggio 1869 fu ordinato sacerdote. E’ a Regona che coprirà dal 1873 il primo mandato come parroco, trasformando in pochi anni il piccolo borgo in un “conventino”, come appunto venne definito dai suoi confratelli.

La passione per i giovani non l’aveva abbandonato: concedeva loro di frequentare assiduamente la sua casa, purché stessero lontani dai luoghi e dalle compagnie pericolosi.

Nella dedizione al suo ministero si distinse come predicatore, tanto che venne chiamato a predicare nelle missioni popolari, a volte solo, altre in collaborazione con sacerdoti amici, come i lodigiani don Luigi e don Pietro Domenico Trabattoni (Venerabile dal 1977).

A preoccuparlo, però, è la gioventù femminile, per arrivare alla quale pensa di farsi aiutare dalle migliori ragazze che si sono affidate alla sua direzione spirituale. Prendono così forma le Figlie dell’Oratorio, che per letizia e “santa giovialità” devono ispirarsi a San Filippo Neri, per carisma devono essere a servizio della gioventù e lavorare in stretta collaborazione con i parroci, per abito devono avere un vestito semplice e senza velo per poter meglio avvicinare le ragazze.

Chiede loro di abitare in case in mezzo alla gente e di lavorare per potersi mantenere economicamente e non gravare sulle casse della parrocchia.

Nel 1883, il vescovo gli chiede il sacrificio di lasciare Regona per andare a Vicobellignano, una parrocchia difficile con una forte presenza metodista. Qui adotta lo stile pastorale di chi cerca di essere per tutti “il bastone che sostiene e non la verga che ferisce”: “I metodisti devono comprendere che amo anche loro”. Così il loro pastore viene ad ascoltare le sue prediche, mentre le famiglie protestanti cominciano a mandare i loro figli alla scuola parrocchiale.

Le prime basi per il nascente Istituto furono poste nel 1885 a Pizzighettone. Il Vescovo monsignor Bonomelli non era molto propenso all'apertura di nuove comunità religiose; per questo motivo, rimandò di qualche tempo l’analisi delle Costituzioni. Alla fine diede il suo assenso il 20 giugno 1901.

Nel frattempo le Figlie dell’Oratorio avevano aperto una casa a Maleo col benestare del vescovo di Lodi, Giovanni Battista Rota, e altre comunità nella Diocesi di Guastalla, ma per garantire la formazione scolastica di quelle tra loro che avrebbero dovuto dedicarsi all'insegnamento, fu scelta la città di Lodi, dove si decise di acquistare una casa in via Paolo Gorini, che divenne la Casa madre. Don Vincenzo si divideva tra la parrocchia e le suore e arrivò ad ipotizzare di potersi ritirare a Lodi, presso le sue Figlie; il vescovo però lo dissuase. 

Nel 1917, mentre si trovava a Lodi per sistemare alcune faccende urgenti per l’Istituto, si sentì male e volle tornare a Vicobellignano. Nei primi giorni di novembre le sue condizioni si aggravarono, tanto che le suore di Lodi accorsero per ricevere da lui un’ultima benedizione.

Le sue ultime parole furono: «La via è aperta: bisogna andare».

Si spense alle 21.45 del 7 novembre. Aveva 72 anni ed era parroco da 43.