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Comunità Pastorale San Biagio Codogno

 

Parrocchia di San Biagio e della Beata Vergine Immacolata

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Comunità pastorale San Biagio Codogno

Parrocchia San Biagio e della Beata Vergine Immacolata

Omelia nella S. Messa di ingresso del nuovo Parroco

2025-10-04 15:39

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1. Siamo alla scuola dell’evangelista Luca, che ci accompagna in questo anno liturgico. Nel suo cammino verso Gerusalemme, il Signore Gesù incontra ta

1. Siamo alla scuola dell’evangelista Luca, che ci accompagna in questo anno liturgico. Nel suo cammino verso Gerusalemme, il Signore Gesù incontra tante situazioni di vita, gli vengono poste delle domande, lo si osserva per vedere come si comporta. Egli risponde con discorsi e parabole. Più il cammino si avvicina a Gerusalemme più Gesù alza l’asticella. E’ dunque comprensibile che dinanzi alle esigenze del Regno enunciate dal Signore, i discepoli se ne escano con la richiesta: “Signore, aumenta la nostra fede”. Richiesta alla quale Gesù non risponde. Dirà invece qual è la forza della fede usando un’immagine paradossale: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe”. La fede, infatti, non la aumenta il Signore: essa, infusa in noi col battesimo, è appannaggio della nostra libertà. 

 

Sono contento che il mio ministero in mezzo a voi inizi proprio sul tema della fede, che per me rimane il centro di tutto. E’ la fede infatti che genera la speranza e la carità. Senza la fede, la speranza resta ottimismo, che viene facilmente smentito dalle contrarietà; senza la fede, la carità è filantropia, che molto spesso è una sorta di “lavaggio etico”.

 

Ma che cosa è la fede? Il catechismo della Chiesa Cattolica parla al proposito di fides quae, e di fides qua. La fides quae, significa la fede che viene creduta, ossia il contenuto oggettivo della fede; per dirla con parole semplici ciò che noi professiamo nel Credo ogni domenica, il quale è come la “sintesi” di tutta la Sacra Scrittura, vale a dire ciò che Dio ha fatto conoscere di se stesso, ciò che noi chiamiamo la Divina Rivelazione. La fides qua significa invece la fede con la quale si crede, ossia l’atto di fede che realizza la relazione con Dio. 

 

Evidentemente questi due aspetti della fede devono essere tenuti – per così dire – in sinergia, perché l’atto del credente, la relazione con Dio, non può prescindere da ciò che Egli ha rivelato di se stesso, altrimenti crederemmo ad un Dio che ci siamo inventati noi. E’ il rischio del soggettivismo, che rappresenta una tentazione oggi molto diffusa. E la cosiddetta religione del “fai da te”, che si riduce ad essere appunto “religione” e non fede; infatti non sono la stessa cosa. Quando la fede viene ridotta a religione, ossia alle manifestazioni esteriori di un credo, senza il coinvolgimento del cuore, a lungo andare – come ricorderanno bene i fedeli di Castiglione, che molte volte me l’hanno sentito dire – “stufa”. E’ quello che è successo a molta gente, soprattutto quando si è giovani, la quale, dopo il cammino dell’iniziazione cristiana se ne va, dicendo: “Non mi dice più niente”. Ed è vero, quando la fede si riduce a religione, gradualmente non dice più nulla.

 

A me piace dire, sulla scorta di quanto afferma il Signore Gesù nel capitolo decimo di Giovanni, che la fede è come una porta: se si sta all’esterno non si capisce nulla. Questo è il mio timore quando vedo partecipare alla Messa persone lontane dalla fede. Mi domando: che cosa capiranno? Probabilmente penseranno che stiamo vaneggiando, come asserivano gli apostoli delle donne dopo che esse avevano visto il Signore la mattina di Pasqua. Questo è uno dei miei assilli di pastore: più si diserta la celebrazione Eucaristica e la formazione, ossia non si ascoltano più il Vangelo e la predicazione, più il pensiero si mondanizza. S. Paolo direbbe che si comincia a pensare “carnalmente”, e il pensiero – per dirla con Romano Guardini – non viene più ricostruito secondo Cristo. Ma se si attraversa la porta della fede, allora anche la ragione attinge alle sue più profonde potenzialità. “Entrerà, uscirà e troverà pascolo”, dice il Signore Gesù. La fede non spegne la ragione, ma le dà una marcia in più! Troverà pascolo, appunto! Bisognerebbe rileggere con grande attenzione l’enciclica di S. Giovanni Paolo II Fides et ratio e meditare tutto il magistero di 

 

Benedetto XVI. Quanto ho terminato di dire sulla fede è di somma importanza per una comunità cristiana: esso infatti riguarda i contenuti e le modalità della predicazione, della catechesi, della liturgia e della carità. Vale a dire le tre dimensioni su cui si struttura la vita e l’azione di una parrocchia e di una comunità pastorale.

 

Nel parroco cercate soprattutto l’uomo della fede: che annuncia la fede, che celebra la fede, che cerca di testimoniare la fede, perché la questione più grossa oggi come ieri rimane quella di Dio. Una comunità cristiana deve innanzi tutto domandarsi: “come faccio a risvegliare la domanda di Dio, perché sia la questione fondamentale? Se è vero che «all’inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona» (Deus caritas est, 1), la domanda su Dio è risvegliata dall’incontro con chi ha il dono della fede, con chi ha un rapporto vitale con il Signore.

 

Dio viene conosciuto attraverso uomini e donne che lo conoscono: la strada verso di Lui passa, in modo concreto, attraverso chi l’ha incontrato. Passa quindi anche attraverso la comunità dei credenti. Qui il ruolo dei fedeli laici è particolarmente importante. Come osserva la Christifideles laici, è questa la vostra specifica vocazione: nella missione della Chiesa «…un posto particolare compete ai fedeli laici, in ragione della loro “indole secolare”, che li impegna, con modalità proprie e insostituibili, nell'animazione cristiana dell'ordine temporale» (n. 36). Cari laici, siete chiamati a offrire una testimonianza trasparente della rilevanza della questione di Dio in ogni campo del pensare e dell’agire. Nella famiglia, nel lavoro, come nella politica e nell’economia, l’uomo contemporaneo ha bisogno di vedere con i propri occhi e di toccare con mano come con Dio o senza Dio tutto cambia. E dico: anche la rilevanza pubblica di Dio. Non per sognare stati confessionali o coltivare nostalgie cesaropapiste, ma perché un popolo che esclude Dio dal proprio orizzonte, non ha futuro. E’ il dramma della nostra Europa, per esempio, la quale, avendo rinunciato per principio a riferirsi a 2 Dio, ha perso il criterio interiore della sua unità e perciò rischia di essere irrilevante sullo scenario internazionale. La sfida di una mentalità chiusa al trascendente obbliga tutti i cristiani a tornare in modo più deciso alla centralità di Dio.

 

A volte ci si è adoperati perché la presenza dei cristiani nel sociale, nella politica o nell’economia risultasse più incisiva, e forse non ci si è altrettanto preoccupati della solidità della loro fede, quasi fosse un dato acquisito una volta per tutte. In realtà i cristiani non abitano un pianeta lontano, immune dalle «malattie» del mondo, ma condividono i turbamenti, il disorientamento e le difficoltà del loro tempo. Perciò non meno urgente è riproporre la questione di Dio anche nello stesso tessuto ecclesiale. Quante volte, nonostante il definirsi cristiani, Dio di fatto non è il punto di riferimento centrale nel modo di pensare e di agire, nelle scelte fondamentali della vita. La prima risposta alla grande sfida del nostro tempo sta allora nella profonda conversione del nostro cuore, perché il Battesimo che ci ha resi luce del mondo e sale della terra possa veramente trasformarci. La questione della fede, inoltre, va di pari passo con quella della preghiera. Se la fede è relazione con Dio, io vivo questa relazione innanzi tutto con la preghiera. Il Vangelo di Luca ci testimonia come Gesù, vive la sua la relazione col Padre prima di tutto nella preghiera. E la grande Teresa d’Avila affermava che il pregare è dialogare da solo a solo molte volte con Colui dal quale sappiamo di essere amati. 

 

2. “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Con queste parole si conclude il brano di vangelo di questa celebrazione. Esso ci offre lo stile del nostro servizio, del nostro metterci a disposizione della fede dei fratelli: la consapevolezza di essere servi, che non guardano al proprio utile. Ossia la gratuità. Del resto, la gratuità è una restituzione: “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Se solo avessimo la minima contezza dei doni di cui siamo stati gratificati nella fede non avremmo alcun dubbio nel metterci al servizio in totale generosità. Questo è un principio prezioso per una comunità cristiana che vive e cresce grazie al contribuito gratuito di una gran quantità di persone: pensiamo al CP a quello per gli affari economici, ai catechisti, ai ministranti, ai cori, a quanti curano le chiese, l’oratorio etc.. Quanta dedizione è presente nelle nostre comunità. Esorto pertanto a rimanere in questa dedizione, a coinvolgere altre persone, a mostrare il volto di una comunità in cui i vari servizi e le varie mansioni sono vissute con amore e come testimonianza di amore, una comunità concorde e unita, come spesso chiede papa Leone, segno eloquente per il territorio in cui si vive. Se vogliamo, la sintesi di questa celebrazione di inizio del mio ministero in mezzo a voi sta giusto in questo binomio: fede e servizio; una fede performante e un servizio disinteressato. 

 

3. Per concludere, accolgo come rivolta anche a me l’esortazione di S. Paolo a Timoteo, che abbiamo ascoltato nella seconda lettura: “Figlio mio, ti ricordo di ravvivare il dono di Dio, che è in te mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza. Non vergognarti dunque di dare testimonianza al Signore nostro, né di me, che sono in carcere per lui; ma, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo”. Sono qui non perché l’ho voluto io, ma perché ho obbedito al Vescovo. Sono qui consapevole che l’ordinazione presbiterale mi ha reso ministro efficace non della mia ma della sua grazia. Sono qui confidando in Dio che non mi ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza (ove la carità e la prudenza mitigano lo zelo e la forza). Sono qui per dare testimonianza al Signore e, se necessario, a soffrire per il Vangelo. 

 

4. Tra non molto sul nostro altare si rinnoverà l’offerta del sacrificio della Messa: il Signore verrà a visitare il suo popolo. Mi sentirete sempre concludere l’omelia introducendo l’Eucaristia, perché la Parola che abbiamo da poco ascoltato diventa, per così dire, carne proprio nell’Eucaristica che si celebra subito dopo: nella Messa non ci sono due parti giustapposte. Sulla terra nulla è più grande dell’Eucaristia, nella quale l’amore del Signore non è presente per inerzia, cioè in forza dell’istituzione di duemila anni fa, ma è presente qui e ora e ci ripete: “Ho desiderato ardentemente mangiare questa pasqua con voi”. Questo amore ci penetri, ci trasformi, ci renda umili e forti, per annunciare e vivere oggi il Vangelo. Per fare di noi una comunità attraente dove un cristianesimo palpitante faccia davvero la differenza. La Beata Vergine Maria, che ci ha preceduti nella peregrinazione della fede, e con assiduità meditava i misteri del suo Figlio, interceda per noi! Mons. Gabriele Bernardelli Parroco di Codogno